Lazio di confine

Dal 2008 al 2010, la Transabruzzi: dalle Marche al Molise a piedi. Un progetto originale, disegnato a casa e poi realizzato sul campo. Dopo un anno di pausa si riparte, alzando il tiro. Da un libro di Stefano e Fabrizio Ardito di oltre vent’anni fa, un percorso grosso modo parallelo alla Transabruzzi, 100 km ad ovest, lungo il confine regionale tra Lazio e Abruzzo.


LAZIO DI CONFINE
di Saverio Bombelli

Leggi la descrizione dell’itinerario

Giugno/2012

MORTE E ORAZIONE

L’ouverture è un patto romantico preso con mia moglie. Scappiamo da Caronte, l’anticiclone africano che a fine giugno 2012 ha reso torride le giornate romane, per incappare in quindici sorprendenti minuti di pioggia battente nel parcheggio del santuario della Santissima Trinità, sopra Vallepietra. Quando termina, fuori l’aria è fresca. Infiliamo una giacca leggera e scendiamo al santuario, una grotta ai piedi di una immane parete strapiombante. Nella grotta, l’antico dipinto della trinità: tre immagini sacre, benedicenti alla maniera greca. I dipinti sono bellissimi. Ero stato qui nel 1997, ma non riconosco nulla. Oggi ci sono un museo, un edificio in costruzione, un altare all’aperto con enorme pensilina, una selva di bancarelle. Oggi? Non possono avere edificato tutto in quindici anni. Mia moglie, che non sopporta il sacro invaso dal cattivo gusto, figurarsi il connubio porchetta e preghiera, affretta i tempi della visita, che io invece allungo leggendo le targhe delle numerosissime croci di fianco al percorso. L’ultima, risalendo, è quella piantata nel 2008 dalla congregazione Morte e Orazione di Frascati. Resto colpito dal nome.

Al piazzale sostituiamo i Birkenstock con gli scarponi ed iniziamo il cammino. L’itinerario è semplice, in un paio d’ore arriviamo ad un magnifico pianoro detto Pozzo della Neve, dove troviamo doline, cinghiali e cavalli. Dormiremo qui. Preparo un risotto per me ed Alessandra, lo mangiamo abbracciati con il sole ancora alto alle nostre spalle che illumina la mole sghemba del Tarino.

Cammino per montare la tenda in posti così.

Cammino per il verde che riempie gli occhi e riposa.

Cammino per il silenzio.

Cammino per stare da solo con mia moglie, il telefono che non prende.

Cammino perché c’è un sentiero che si forma a mano a mano che il terreno è sgombrato dall’importanza che davamo alle cose (cit. Salvo Sammartano).

Perché cammino??? immagino sia invece il pensiero dominante di Alessandra, nascosto tra sbuffi e sudore, mentre di mattina presto saliamo su Monte Tarino. Le sono grato: dormire assieme a Campo della Neve è stato bello. Ho promesso che se ritorna a camminare con me porterò il parmigiano per il risotto e lo zucchero per il tè: la mia checklist alimentare è oltremodo scarna.

Non immaginavo un luogo così bello: boscose ed incise valli a perdita d’occhio, creste, la mole del Viglio. Peccato solo per i lontani impianti sciistici di Campo Staffi.

La discesa alla piana di Campo Ceraso è ripida e breve, dopo si cammina in orizzontale per il resto della giornata, è una passeggiata.

Alle 15 siamo a Subiaco, in un ristorante curato e con bravi cuochi, piacevolissimo sigillo alla nostra due giorni da amanti. Aveva ragione Diletta dodici anni fa: una coppia vive di passi in avanti.

A Roma, nostro malgrado, dobbiamo fare tappa al centro commerciale di Porta di Roma per comprare un regalo a nostra figlia Valeria. Non sono uno snob, sono grato per il benessere economico e sociale, per un capo Montura spendo volentieri, capisco anche che un centro commerciale fresco e pulito possa essere una risorsa per trascorrere il sabato. Ma i segnali del mio corpo sono chiari: come il mio sistema omeostatico era in equilibrio a Campo della Neve così ora è in disordine. I rumori, gli odori, le luci, la maleducazione di alcuni, la sovra-offerta di merce.

Non faccio teoria, descrivo sensazioni.

Una volta in macchina sbaglio due volte nel cercare l’uscita. Alessandra infila un CD dei Wogiagia, trovo subito la direzione stradale corretta.

X

DAREM TREK

Tutti pensano che sia un termine di origine inglese, invece viene dal Sud Africa, e risale ad una vicenda del XIX secolo, l’emigrazione dei boeri dalle regioni sud-orientali verso il nord-est, nel Transvaal, a seguito dell’arrivo degli inglesi. Il verbo trekken in boero vuol dire “camminare lungo le orme lasciate dai carri trainati dai buoi”. Il termine si è poi diffuso nel mondo con il suffisso anglosassone –ing. Fatto curioso: invece di trekking nella lingua inglese si usano soprattutto, con significato diverso, hiking e backpacking.

Ed in Sud Africa è ambientato il romanzo che sto leggendo in questi giorni, Una storia come il vento, di Laurens van der Post. In un passaggio chiave del romanzo il protagonista, François, un ragazzo di tredici anni, spara ad un enorme elefante chiamato Sradicatore di Grandi Alberi, uccidendolo. La morte è necessaria alla vita come l’ombra alla luce, eppure è stata oggetto della più clamorosa e sistematica rimozione operata nella nostra società occidentale – congregazione di Frascati a parte – lasciandoci tutti più indifesi.

È invece presente nel mondo e nell’epoca di François, e non solo per gli animali.

“Si avvide solo allora che Mopani lo aveva raggiunto. Abbassando lo sguardo sull’elefante, esclamò: «Ja-nee, era darem un monumento della sua razza». Né Ja-needarem, le parole usate da Mopani in quel momento solenne, avevano bisogno di spiegazioni per François. Erano elementi fondamentali del vocabolario autentico di quel singolare vecchio cacciatore, espressioni tipiche di una generazione scomparsa di pionieri dell’Africa. Ja-nee significa letteralmente «sì-no», e Mopani lo usava sempre quando si trovava ad affrontare un aspetto della realtà che per lui andava oltre una semplice questione di domanda e risposta, positive o negative, o di opposizione di significati. Per lui era un’espressione appropriata nell’hic et nunc dell’ineffabile, misterioso e costante paradosso che è nel cuore di ogni materia animata ed inanimata; ma soprattutto nel cuore dell’uomo, nel suo breve tragitto zigzagante attraverso il tempo e lo spazio […]

Darem è ancora più difficile da spiegare, poiché suggerisce una percezione della realtà indipendente da ogni possibile qualificazione o aggettivo o avverbio, una parola per la quale non abbiamo riscontrato equivalenti in nessun’altra lingua. Se proprio dovessimo tradurla, ci servirebbe una combinazione di molti altri termini, come, per esempio, nel caso dell’esclamazione di Mopani accanto al corpo dello Sradicatore di Grandi Alberi. Significherebbe qualcosa del genere: «Intanto, ciò nondimeno, tuttavia, lo Sradicatore di Grandi Alberi era un monumento della sua razza», implicando che per quante discussioni, eccezioni e obiezioni il mondo potesse fare contro questa particolare osservazione, essa sarebbe rimasta permanentemente e indiscutibilmente vera”.

Ja-nee, questo trekking sarà darem un monumento della sua razza.

Lo sento.

X

Ottobre/2013

DAL CIVETTA AL VIGLIO

Ad agosto ho avuto il panico! Oppofferbacco, era dal 2006 che il nostro annuale trekking di 7-10 gg non saltava: quando Andrea mi ha detto «Non ho le ferie» mi sono sentito venire meno la terra sotto i piedi. Capiamoci: saremmo tutti sopravvissuti, e pure egregiamente, non è certo una questione di vita o di morte, però è una esperienza che ci dà sempre tantissimo, e che tutti attendiamo con una sottile impazienza. Non mi sono comunque fasciato la testa anzitempo, ma ho ragionato su quale potesse essere una alternativa, e come sempre più spesso mi capita a un certo punto ho sentito che la soluzione andava trovata in un cambio di prospettiva. Cambio che sono andato a cercare sul Civetta, un meraviglioso giorno di inizio settembre. Dodici ore di movimento ininterrotto, 1800 metri di dislivello a salire ed altrettanti a scendere, nel mezzo un viaggio di tre ore lungo la ferrata degli Alleghesi. Passo dopo passo mi sono sentito bene, dentro l’esperienza, e una volta ancora quella sconvolgente sensazione di unità, completezza: il corpo e la mente che ritornano a essere una cosa sola, io.

Così, ho scritto al gruppo: e se ci inventassimo un progetto? Una spedizione tra un anno, e nel mentre alcuni week-end allargati di preparazione? Un pretesto per stare assieme, stare bene, stare in cammino. Il recentissimo trasferimento di Andrea da Rio de Janeiro e Parigi è stato decisivo nell’imprimere il sugello.

Dove andare? Cosa fare? Roma ha stazioni e aeroporti, e mezzo gruppo ci vive. Inoltre c’è un’idea già a disposizione, iniziata sedici mesi fa, e che non aspetta altro di essere ripresa e continuata. Dopo l’ouverture, è ora di entrare nel vivo del Grande Sentiero del Lazio. Darem trek!

Al gruppo storico si aggiunge Lorenzo: bussa alla porta con discrezione, entra con un grande sorriso, e resta.

Il primo giorno, camminiamo addirittura in nove: mio fratello, Federica, due sue amiche. A pranzo beviamo dell’autentico Bordeaux: è il mio compleanno, gli amici mi festeggiano a modo loro. Sono amici nutrienti, stare con loro mi fa bene. Grazie. Dopo pranzo, restiamo solo noi, e ‘sta cresta pazzesca che dal Viglio punta a perdita d’occhio verso sud. Il marchio della giornata però non è né il rosso né la cresta ma una luce autunnale vivida e fresca che trasforma il paesaggio in una rivelazione. Smettiamo di camminare a Fonte del Pozzotello, dove complice la quota (1850 m) cala un freddo micidiale. Ma siamo attrezzati, e soprattutto riusciamo a fare legna e accendere un grande fuoco di bivacco tra le tende. Già, le tende… anche qui, come per il vino: peso in più, piacere in più. Rispetto a una notte in albergo/rifugio, vuoi mettere il piacere di momenti così? Non c’è storia. Per non parlare dell’autosufficienza logistica e quindi decisionale che ne consegue.

Il secondo giorno l’itinerario è più corto, ed a metà pomeriggio arriviamo alla Certosa di Trisulti in tempo utile per una bella visita. Ci colpisce l’età media dei “fraticelli”, appellativo che ascoltiamo da uno di loro, spigliato ed istrionico cicerone. Terminata la visita, Andrea propone, da copione, una merenda salata, così entriamo nel ristorante attiguo e ci spazzoliamo ottimo prosciutto tagliato a mano, contornato da funghi sott’olio e innaffiato da un buon Montepulciano d’Abruzzo sfuso. Due passi e siamo attorno alle rovine del Convento di San Domenico dove, complice il buio, in breve siamo tutti nudi attorno al fontanile: infatti, un pregevole intervento di ingegneria idraulica by Mephisto Manna ha reso il gettito d’acqua continuo e fruibile, e ci laviamo con piacere. Siamo mille metri sotto la quota di ieri, riparati dal bosco e dalla montagna, la temperatura è generosa. Il torcibudella verde comprato dai fraticelli, meno.

Il terzo giorno è il più sorprendente: risaliamo una insospettabile e meravigliosa forra, incassata tra alte pareti, si tratta del canyon dell’Inferno. Bello bello! A tratti Indiana Jones a tratti Un tranquillo weekend di paura, ci impegna il giusto e ci soddisfa molto. Una volta usciti dal canyon incontriamo una strada sterrata che per placidi tornanti ci riporta in quota, tra panorami più familiari. Alle 16 siamo già stipati in automobile in direzione Roma, dove con mirabile agilità Andrea e Matteo nell’ordine: fanno la doccia; divorano una robusta merenda salata; raggiungono in tempo utile l’aeroporto di Fiumicino e la stazione Tiburtina per i rispettivi rientri a Parigi e Milano.

(Ritorneremo un anno dopo, ottobre 2014, per altri tre giorni, e infine a maggio 2015, per concludere il trekking, davvero strepitoso!)

Leggi la descrizione dell’itinerario

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