“La giusta e necessaria aconfessionalità dello Stato ha finito per dissimulare, sotto l’idea di neutralità, il sostegno dello Stato a una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio”: l’arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, lo ha sottolineato nel discorso alla città di Sant’Ambrogio. Proponiamo una riflessione di Massimo Marnetto sulle parole di Scola.
No cardinale Scola, la laicità è un valore
Prima l’infelice uscita di Monsignor Fisichella sui “pugni chiusi”, poi il discorso del Cardinale Scola a Milano sul “danno della laicità” dello Stato, fanno capire che il Vaticano è appesantito dalla mediocrità di troppi suoi alti esponenti.
Tralasciando il modesto Fisichella – quello che contestualizzava le bestemmie del miliardario – fa invece scalpore l’attacco del pastore milanese alla laicità dello Stato.
Da credente, infatti, credo che lo Stato debba esercitare la sua equidistanza da tutte le confessioni religiose, affinché nessuna abbia un potere asimmetrico sulle altre e sulle Istituzioni.
La laicità, in questo senso, è una componente dell’uguaglianza. Una “necessità costituzionale”, visto che la “verità” di ogni confessionale comporta unicità e primato; e quindi è incompatibile con l’uguaglianza.
Allora, come si conciliano le cose ? Dando rilevanza “valoriale” al proprio credo per farne un elemento di incontro anche con chi vive un’altra fede o ne è privo ma professa “valori convergenti”; e chiedendo allo Stato di non cedere sovranità ad alcuna religione, per garantirle tutte. Perché la religione si avvelena con il potere. E il potere con la religione.
Tenere queste due componenti separate è garanzia di autenticità della fede dei singoli, nonché fondamento di democrazia e coesione di collettività sempre più serenamente multireligiose
Massimo Marnetto, 7 dicembre 2012